Necropoli nuragica di Antas

La Necropoli Nuragica di Antas

Le ricerche hanno evidenziato una lunga storia del santuario, infatti, prima del monumentale Tempio di Antas romano, poi di quello punico, vi era un’antichissima necropoli nuragica attorno ad un affioramento roccioso individuato probabilmente come santuario.

Nel 1984, nell’area sud prossima al Tempio di Antas, venne finanziata una campagna di scavo curata dall’Archeologo Giovanni Ugas. Le indagini hanno rilevato la presenza, sotto un primo livello, di terriccio nerastro e ossa combuste (animali ed umane), frammiste ad elementi fittili esclusivamente d’età nuragica, da riferirsi probabilmente alle sepolture ad incinerazione del Bronzo Finale.

Gli elementi più significativi emersi sono tre tombe a pozzetto (attualmente non visibili perché ricoperte dopo l’opera di scavo), posizionate in direzione nord-sud, a 21 metri dal podio romano, profonde da 0,35 m a 0,68 m con 0,80 di diametro, pertinenti ad una necropoli sicuramente più estesa, in uso nella prima età del ferro (IX – VIII sec. a.C.).

La tipologia dei pozzetti funerari, è di estremo interesse in quanto richiama pochi altri esempi di sepoltura singola rinvenuti in Sardegna, come l’importante sito archeologico di Monti Prama nei pressi di Cabras (OR), località famosa per aver restituito l’unico esempio di statuaria nuragica (statue in arenaria di grosse dimensioni raffiguranti pugili e arcieri).

Una delle tre tombe di Antas, eretta ad uso commemorativo (cenotafio), non accoglieva il defunto ma solamente il corredo funerario. Le altre due, invece, contenevano un individuo inumato (deposto presumibilmente in ginocchio o seduto). Uno di questi, era accompagnato da un bronzetto rappresentato nudo con le gambe leggermente flesse e una mano alzata in segno di benedizione, mentre con l’altra impugnava una lancia, una sorta di copricapo riveste la sommità della testa.

L’immagine è collegata a quella del Sardus Pater, dio venerato in periodo romano, esso va interpretato come culto degli antenati che adoravano Sardus, il figlio di Ercole, le cui vicende ci sono state tramandate dalle fonti antiche.

Secondo la mitologia, egli arrivò dall’Africa settentrionale nella nostra isola alla quale assegnò il suo nome, a capo di una moltitudine di coloni che vissero in simbiosi con gli indigeni locali.

La statuina che quindi potrebbe rappresentare la più antica raffigurazione del Sardus Pater – Babai, rivela chiaramente il mito legato alla figura di un progenitore della stirpe.

Il teonimo “Babai”, diventato poi in età punica “Sid Addir Babai” e successivamente romana “Sardus Pater Babai”, deve ascriversi secondo alcuni studiosi, ad ambito linguistico e culturale paleosardo, ossia nuragico.

Questo culto doveva essere così profondamente radicato nelle popolazioni indigene che le successive colonizzazioni da parte di cartaginesi e romani non riuscirono a cancellarlo ma ne rimasero coinvolte: i primi assunsero la divinità paleosarda nel pantheon punico assimilandolo al loro Sid e facendo sorgere un nuovo santuario; gli altri costruendo un nuovo tempio e coniando una moneta con l’effige del Dio, che verrà ricordato ancora nella titolatura del tempio romano.